Tsunami da Impatto

 

Uno studio recente e accurato dello tsunami generato dalla caduta nell’Oceano Atlantico di un piccolo asteroide (diametro inferiore al chilometro) è stato compiuto da Jack Hills e Charles Mader del Los Alamos National Laboratory e presentato nella Conferenza Internazionale sulla Difesa del Pianeta svoltasi a Livermore (California - USA) dal 22 al 26 maggio 1995.
Per chi volesse saperne di più, oltre che consigliare - come è doveroso - la lettura della relazione dei due studiosi, in calce a questa mia chiaccherata riporto una breve nota matematica con il riassunto delle formule proposte nello studio citato.
Nel loro lavoro Hills e Mader ipotizzano la caduta di un asteroide in un punto qualunque dell’Oceano Atlantico analizzando le dimensioni dello tsunami prodotto da tale evento ed i risultati che emergono sono davvero impressionanti.
Nel caso di un impatto con un asteroide del diametro di 400 metri, si produrrebbero onde oceaniche di 4 metri che, una volta giunte in prossimità delle coste, si trasformerebbero in onde di tsunami di 40 metri destinate a penetrare per molti km all’interno della terraferma.
Se poi, aggiungono i ricercatori, si dovesse ipotizzare la caduta di un asteroide del diametro di 5 km (un oggetto decisamente grande, in grado di formare una cavità transiente larga 150 km e profonda come l’oceano, ma che, comunque, sarebbe di un ordine di grandezza meno massiccio di quello che si ritiene il responsabile dell’evento K/T), si innescherebbero onde oceaniche caratterizzate da una ampiezza dell’ordine del centinaio di metri che, interagendo con la terraferma, darebbero origine a vere e proprie montagne di acqua in grado di ricoprire la costa orientale degli Stati Uniti spingendosi fino alle pendici dei Monti Appalachi.
Grazie alla conformazione della piattaforma continentale in grado di contenere il moto ondoso, l’Europa sarebbe colpita in minore misura, ma con risultati ugualmente devastanti.
La zona che risentirebbe maggiormente degli spaventosi effetti dello tsunami innescato da questa caduta nel centro dell’Atlantico sarebbe, con molta probabilità, la penisola Iberica, dal momento che non presenta praticamente piattaforma continentale; questa situazione particolarmente sfavorevole potrebbe quasi essere giudicata prevedibile, visto quanto accadde in occasione del terremoto che rase al suolo Lisbona il 1° novembre del 1755 provocando 40.000 vittime, con la città portoghese inondata dall'oceano ed un runup valutato di oltre 12 metri.
Proprio considerando che ambedue le coste dell’oceano sarebbero ugualmente interessate dal fenomeno, i due ricercatori suggeriscono che sarebbe fondamentale il rinvenimento di tracce coeve di inondazioni sia lungo la costa orientale degli Stati Uniti che lungo quelle dell’Europa: sarebbe veramente la prova schiacciante che eventi come quello ipotizzato possano essere accaduti nel passato.
E non è fantascienza ipotizzare un tale rinvenimento, dal momento che sul nostro pianeta è già stata scoperta più di una traccia di giganteschi tsunami avvenuti nel passato, basti per tutti citare il ritrovamento (lo studio, del 1993, è dei ricercatori C. Johnson e D. King) di depositi corallini non consolidati ad una quota di 326 metri sul livello del mare nell’isola di Lanai nell’arcipelago hawaiano.

Non per campanilismo, ma spinto esclusivamente dalla curiosità e dal desiderio di fare qualche conto tutto sommato attendibile, ho provato ipotizzare un impatto nel Mediterraneo, impiegando nei calcoli le formule presentate nel lavoro citato in precedenza.
Ho semplificato notevolmente il problema, applicando le formule così come sono ed ipotizzando due diverse località d’impatto: la prima nel Bacino Algerino-Provenzale (tra la Sardegna e le Isole Baleari) nel punto di massima profondità (2800 metri) e la seconda nel Bacino Ionico (tra la Sicilia e Creta) in una zona in cui la profondità del mare raggiunge i 4300 metri (vedi disegno).

bacino del Mediterraneo

Non mi sono discostato dalle ipotesi di Hills e Mader neppure per ciò che riguarda la scelta del responsabile dell’impatto, vale a dire un asteroide di tipo roccioso (diametro di 400 metri), dotato di una velocità di 20 km/sec e, pertanto, di un carico energetico dell’ordine di 5 Gton.

La situazione descritta si può configurare (usando la terminologia corrente) come un impatto in acque basse, dal momento che le dimensioni verticali della cavità transiente (nel caso di un asteroide con dimensioni di 400 metri è ipotizzabile un valore di 4800 metri) superano la profondità del mare, e questo anche nel caso del Bacino Ionico.
I dati numerici ottenibili dall’applicazione delle formule sono riportati nelle tabelle seguenti, in merito alle quali è opportuno introdurre alcune note esplicative:

  • Il valore dell’altezza dell’onda oceanica è riferito al livello medio iniziale della superficie marina; trattandosi di un moto ondoso, a questa "salita" seguirà, naturalmente, anche un avvallamento all’incirca di pari altezza.
  • Il runup è stato calcolato semplicemente valutandolo 10 volte l’onda oceanica, dunque affidandosi a valori medi e senza considerare l’andamento batimetrico dei fondali.
  • La distanza alla quale può spingersi nell’entroterra l’acqua dello tsunami è stata calcolata ipotizzando una morfologia superficiale intermedia (né troppo liscia né troppo rugosa), con un Numero di Manning n = 0.03 e senza tenere conto dell’andamento orografico delle regioni costiere considerate.

 

 BACINO ALGERINO-PROVENZALE

Località Onda oceanica Runup Distanza

Isole Baleari

> 15 m

> 150 m

> 51 km

Coste algerina

12 m

120 m

38 km

Coste Sardegna Occidentale

15 m

150 m

51 km

Costa francese (Marsiglia)

7.5 m

75 m

20.5 km

Costa ligure (Genova)

5 m

50 m

12 km

 

BACINO IONICO

Località

Onda oceanica

Runup

Distanza

Coste Sicilia Orientale

11.6 m

116 m

36.5 km

Golfo di Taranto

7.7 m

77 m

21 km

Peloponneso

13.3 m

133 m

43.7 km

Costa tunisina

6.2 m

62 m

15.8 km

Costa libica (Tripoli)

9.3 m

93 m

27 km

Costa israeliana e libanese

3.1 m

31 m

6.3 km

Al di là delle considerazioni sulla completa attendibilità dei risultati numerici proposti (ci sono infatti troppi parametri ignorati o assunti con valori medi), resta il fatto che se si verificasse un impatto nel Bacino del Mediterraneo le regioni costiere dei Paesi che si affacciano su di esso verrebbero spazzate via dalla violenza delle acque, situazione resa ancor più drammatica dal fatto che gran parte degli insediamenti umani sono collocati proprio nelle immediate vicinanze delle regioni costiere.
Ci mette un po’ il cuore in pace il fatto che, accettando per buona la frequenza di 100.000 anni per la caduta di un oggetto del diametro di 400 metri, il calcolo statistico della frequenza di un impatto come quelli da me ipotizzati (ottenuto semplicemente rapportando la superficie occupata dal Bacino del Mediterraneo alla superficie totale della Terra) porta l’intervallo tra due eventi a più di 20 milioni di anni...


 

Certamente più frequente (valutato dell’ordine di un evento ogni qualche centinaio di anni su tutta la superficie terrestre) è considerato l’impatto di un oggetto di dimensioni paragonabili a quelle ipotizzate per il responsabile dell’evento Tunguska del 1908, un corpo caratterizzato, cioè, da un diametro di una cinquantina di metri.
Se per tale oggetto scegliamo, anziché una composizione di tipo condritico come quella proposta da alcuni per l’impattore siberiano, una tipologia roccioso-metallica con densità di 3.5 g/cm3 ed una velocità di impatto ancora di 20 km/sec, otteniamo un contenuto energetico di 10.9 Mton.
Ripetendo i calcoli, sempre considerando una caduta nel Bacino del Mediterraneo, per valutare i fenomeni marini indotti da questa tipologia di impattori, si ottengono i seguenti risultati:

 

 BACINO ALGERINO-PROVENZALE

Località Onda oceanica Runup Distanza

Isole Baleari

> 2.3 m

> 23 m

> 4.2 km

Coste algerina

1.9 m

19 m

3.3 km

Coste Sardegna Occidentale

2.3 m

23 m

4.2 km

Costa francese (Marsiglia)

1.2 m

12 m

1.8 km

Costa ligure (Genova)

0.8 m

8 m

1 km

 

BACINO IONICO

Località

Onda oceanica

Runup

Distanza

Coste Sicilia Orientale

1.2 m

12 m

1.8 km

Golfo di Taranto

0.8 m

8 m

1 km

Peloponneso

1.3 m

13 m

2 km

Costa tunisina

0.6 m

6 m

0.7 km

Costa libica (Tripoli)

0.9 m

9 m

1.2 km

Costa israeliana e libanese

0.3 m

3 m

0.3 km

Le località, come si può vedere, sono le stesse presentate nelle tabelle precedenti, e identiche sono pure le annotazioni generiche colà riportate in merito al calcolo del runup e della distanza di penetrazione nell’entroterra.
Per quanto riguarda il calcolo dell’onda oceanica, invece, è necessario precisare che, trattandosi di un evento configurabile come impatto in acque profonde, è stata utilizzata la formula appropriata e non più quella per bassi fondali impiegata in precedenza.

Anche semplicemente da una analisi sommaria dei risultati ottenuti si può notare l’entità già sufficientemente elevata dei fenomeni innescati da un avvenimento che, tutto sommato, può essere considerato "frequente" anche su scale temporali umane.
Ed il pensiero, inevitabilmente, non può a che rivolgersi all’episodio biblico del Diluvio Universale, confortato anche dal fatto che la descrizione di episodi analoghi si trova un po’ in tutte le culture, suggerendo che alla base di tutto ci possa essere stato effettivamente, in epoca pre-storica, un episodio realmente accaduto, una spaventosa inondazione la cui descrizione – con gli inevitabili arricchimenti tipici dei racconti tribali – è stata tramandata di padre in figlio per sfociare, una volta introdotta la scrittura quale più sicuro veicolo della memoria, nei racconti biblici e nelle saghe mitologiche di altre culture.
Alla luce di quanto detto finora, l’idea di associare queste inondazioni allo tsunami causato da un impatto in mare può essere qualcosa di più di una fantasia senza fondamento…
Ma qui ritengo doveroso fermarmi, lasciando ad altri (Immanuel Velikovsky prima di tutti e, più recentemente, Victor Clube, Bill Napier ed altri studiosi) l'onore e l'onere di interpretare in "chiave impattiva" (non a caso la scuola di pensiero viene detta del Neo-Catastrofismo) molti eventi  la cui eco, spesso sotto forma di racconti mitologici, è giunta fino ai nostri giorni; e non si può negare che qualche coincidenza sia veramente sorprendente e alcuni degli scenari proposti siano molto, molto attraenti…
E non è escluso che qualche divagazione sul tema ed un approfondimento non possano costituire materia di un successivo lavoro nelle pagine di questo sito.

 


 

Nota matematica

Nella simulazione presentata nel Workshop di Livermore del 1995, Jack G. Hills e Charles L. Mader si riferiscono, quale dato di partenza, all’energia posseduta dall’oggetto (si tratta dell’energia cinetica dell’asteroide diretto verso la Terra) e, basandosi su dati provenienti dagli studi di esplosioni nucleari sottomarine, giungono a determinare l’altezza dell’onda oceanica generata nell’impatto, secondo la formula:

(1)

 In essa:    h  =  altezza dell’onda oceanica (espressa in metri);
                Y =  energia dell’impatto (espressa in Gton);
               r =  distanza dal punto d’impatto (espressa in km).

Tale formula non è più utilizzabile, però, nel caso in cui l’interazione con il proiettile cosmico avvenga in acque poco profonde, vale a dire nel caso in cui la profondità della cavità transiente – che, ricordiamo, è il cratere iniziale originatosi in seguito all’impatto – supera la profondità dell’oceano in quel punto.
Dal momento che la profondità di un cratere in acqua è stimabile in circa 12 volte il diametro dell’impattore (valore proposto da Schmidt e Holsapple in uno studio del 1982), questo significa che i risultati numerici ottenuti grazie alla (1) sono corretti fino al caso limite di un proiettile del diametro di 400 metri dotato di velocità di 20 km/sec che impatta la superficie oceanica in una zona in cui la profondità è di 5 km (che è poi la profondità media oceanica).

Nel caso di acque poco profonde (o di oggetti con dimensioni superiori ai 400 metri) l’altezza dell’onda oceanica generata dall’impatto sarà inferiore poiché, come è stato confermato da test nucleari in acque con profondità limitata, in tale situazione la quantità di energia trasferita alle acque è inferiore rispetto al caso di acque profonde; per tale motivo l’altezza dell’onda oceanica dovrà essere calcolata ricorrendo ad una nuova formula, e precisamente quella proposta in un lavoro del 1977 da S. Glasstone e P.J. Dolan:

(2)

Il significato dei simboli è quello già evidenziato nella (1), come pure le unità di misura impiegate.
Oltre alle grandezze già note, nella (2) compare anche il valore della profondità dell’acqua nel luogo dell’impatto (d), espresso nelle stesse unità di misura utilizzate per la distanza (r).
E’ interessante, in questa seconda situazione, notare che, all’aumentare dell’energia dell’impatto, l’altezza dell’onda oceanica aumenta più lentamente di quanto non avvenisse nel caso di acque profonde e ciò dipende dal fatto che interviene, quasi come parziale dissipatore di energia, l’interazione con il fondale oceanico con l’innesco dei fenomeni elastici riscontrabili nell'analisi del fenomeno della craterizzazione.

Oltre al calcolo dell’altezza dell’onda oceanica (parametro dal quale dipende il calcolo del runup dello tsunami), Hills e Mader si propongono anche di riuscire a determinare fin dove si spingerà l’ondata all’interno della terraferma.
La situazione è molto complessa, dal momento che nel calcolo intervengono numerosi fattori, non ultimo il grado di "ruvidità" del terreno, parametro espresso attraverso il Numero di Manning (n) il cui valore può variare da circa 0.015 nel caso di terreni molto lisci e ghiacciati fino a 0.070 per aree costiere caratterizzate da fitta vegetazione e formazioni laviche molto ruvide.
Hills e Mader, pertanto, assumono come validi i valori presentati in una ricerca del 1977 da Bretschneider e Wybro (dai calcoli dei quali, nel caso di  n = 0.03 e con un runup di 15 metri, la massima distanza di penetrazione sulla terraferma (X max)  risultava di 2.5 km) e, scalando opportunamente tali valori, ricavano la seguente espressione:

(3)

In essa: Xmax = distanza massima di penetrazione nella terraferma (espressa in km)
                    ho = valore del runup (espresso in metri).

Ipotizzando alcuni valori del runup nel caso di un’area sviluppata (caratterizzata da un Numero di Manning n = 0.03) ed inserendoli nella (3) otteniamo che un’onda di tsunami di 40 metri potrebbe spingersi per circa 9 km nell’entroterra, una di 100 metri potrebbe arrivare a 30 km e nel caso di runup di 200 metri l’acqua potrebbe raggiungere i 76 km di distanza.
Se poi si trattasse di una zona costiera costituita da pascoli o aree coltivate (n = 0.015) i valori ottenuti sarebbero (pur nell’incertezza dovuta all’estrapolazione dell’equazione a tali valori estremi) 4 volte maggiori.

 

 

 

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